risarcimento del danno da perdita parentale: responsabilità della struttura sanitaria

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Il tema della risarcibilità del cosiddetto “danno da perdita del rapporto parentale” è stato particolarmente dibattuto in giurisprudenza e molti sono stati i contributi particolarmente illuminanti della dottrina sulla responsabilità della struttura sanitaria in merito a detta tipologia di danno.

La ritardata oppure la omessa diagnosi di una patologia possono causare importanti  lesioni del paziente ovvero, nei casi più gravi, anche la perdita della vita dello stesso.

Accanto al cosiddetto “danno biologico” subito dal paziente per la perdita della salute potrebbe, pertanto, sussistere anche l’ipotesi del danno da perdita del bene vita.

Ma non è tutto!

I suddetti eventi possono comportare anche dei danni di natura non patrimoniale nei confronti dei congiunti del paziente leso.

In questi casi, ai congiunti di coloro i quali hanno subito delle lesioni personali invalidanti o, nei casi più infausti, la morte a causa di una omessa o tardiva diagnosi, è possibile riconoscere un autonomo credito risarcitorio consistente nel danno da perdita del rapporto parentale.

Secondo la Suprema Corte, il pregiudizio della perdita di rapporto parentale rappresenta un particolare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo, e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti provi della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita (Corte di Cassazione, Sez. III Civile, sentenza 20 Agosto 2015, n. 16992).

Muovendo dal richiamato principio di diritto fissato dai giudici di legittimità, anche la giurisprudenza di merito – in particolare il Tribunale di Milano ha fornito un’accurata definizione del danno da perdita del rapporto parentale.

Secondo detta pronuncia “il pregiudizio da perdita o lesione del rapporto parentale rappresenta una particolare ipotesi di danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. Tale pregiudizio consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto. Trattasi di danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, ristorabile non solo in caso di perdita, ma anche di mera lesione del rapporto parentale, derivante da lesioni invalidanti del prossimo congiunto tali da incidere di riflesso sui diversi interessi predetti” (Tribunale Ordinario di Milano, Sez. I Civile, sentenza 14.11.2019, n. 10430).

E’ indubbio, pertanto, che colui il quale fornisce l’assistenza al soggetto leso subisca, di fatto, egli stesso un pregiudizio non patrimoniale; detto pregiudizio è causato, evidentemente, dal peggioramento delle sue condizioni di vita.

Se detto pregiudizio è serio e la lesione invalidante del congiunto è grave, l’Autorità giudiziaria dovrà, quindi, risarcire – oltre il danno invalidante subito dal soggetto leso causa dell’evento – anche il richiamato pregiudizio non patrimoniale.

 

Avv. Luca Palmerini

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