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Il lavoratore che insulta i propri responsabili sui social network e/o nelle e-mail, è passibile di licenziamento per giusta causa.

Questo è, in sostanza, il principio stabilito dalla sentenza n. 27939 del 13.10.2021 della Sez. Lavoro della Suprema Corte che ha confermato quanto disposto dalla Corte d’Appello di Roma con sentenza del 2018.

SINTESI DELLA VICENDA 

La pronuncia in esame trae origine dalla circostanza che nel 2016 Tizio, con qualifica di “account manager dei profili social” di una nota azienda di telecomunicazioni, riportava nell’ambito  di tre e-mail ed un post sulla propria pagina Facebook, diverse frasi dal contenuto gravemente diffamatorio ed offensivo, rivolte nei confronti dei propri superiori. 

Dopo l’aver appreso la condotta del proprio dipendente, l’azienda provvede a comunicare a quest’ultimo il licenziamento per giusta causa, in applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 48, lett. B, punto 4a del CCNL di riferimento.

CODICE CIVILE

ART. 2119 C.C. – Recesso per giusta causa

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente (2244).
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento  dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa”.

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LA MOTIVAZIONE DELLA SUPREMA CORTE

La Corte di Cassazione, pertanto, mediante la richiamata sentenza, ha ritenuto corrette le decisioni adottate dagli organi giurisdizionali rispettivamente nel primo e nel secondo grado di giudizio.

Come si è avuto modo di argomentare, l’art. 2119 c.c. consente al contraente di recedere dal contratto senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto: nel caso di specie, la causa individuata dal datore di lavoro è stata la GRAVE INSUBORDINAZIONE che il dipendente ha posto in essere attraverso le e-mail ed il post su Facebook. 

Detta condotta, quindi, aggravata dalla plurioffensività e dal carattere diffamatorio delle affermazioni, oltre ad essere espressamente previsto dal CCNL di riferimento (art. 48 lett. B, punto 4) quale causa di licenziamento senza preavviso  sarebbe – in ogni caso – idoneo a precludere la proseguibilità del rapporto, per l’elisione del legame di fiducia tra le parti, elemento questo posto alla base del contratto di lavoro subordinato; si consideri, a tal proposito, il ruolo aziendale ricoperto dal dipendente, consistente nella gestione della comunicazione pubblicitaria e dell’immagine aziendale a livello nazionale.

Avv. Luca Palmerini

 

 

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